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240 Diario sentimentale

lettuali stampàvano libri, parlàvano con compiacimento della decadenza delle razze latine: portare all’occhiello il nastrino tedesco era di buon gusto. I nostri eruditi scrivèvano un italiano quasi tedesco, pensàvano come caporali della bassa coltura tedesca. Noi pochi, che rimanemmo italiani, eravamo cani rognosi e reietti.

Quand’ecco fu proferita questa incredìbile parola d’impèrio: «Portare, il nastrino all’occhiello, non è sufficiente. Occorre portare la livrea».

Noi vediamo con immenso stupore l’antica guerra fra latini e germànici defluire sopra il suo letto secolare. Attila, Alboino, Barbarossa, Pontida, Legnano, Fossalta, sono oggi nomi vicini, li tocchiamo, li vediamo: e c’è il telègrafo, e c’è il telèfono!

Il nostro stupore è immenso. Se, dopo morte, mi troverò veramente nella valle di Josafat, non proverò minor stupore. «Ah, tu non credevi nella valle di Josafat!» C’è poi anche qualche altra cosa che mi disorienta: Teodorico, Liutprando, e poi Federico II, Manfredi, (cui togliemmo l’aspro nome germànico e demmo il nome di Soàvia), sono figure luminose, degne di impero. Non per l’alto Arrigo, il nostro Dante prepara il sèggio aurato della etimasia, su, nella rosa celeste?

Signori germànici, voi siete indubbiamente