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la modernità di panzini 237


netti, i modi del Carducci hanno subito rilievo. Essi ricorrono con frequenza nel giovanile saggio sull’evoluzione politica del Maremmano, che ha piglio animoso, solennità d’immagini, e «impostatura larga del quadro fra storico e filosofico». La fedeltà al Carducci si riscontra anche nel primo romanzo («Il libro dei morti») che è del 1893. Si noti la descrizione del treno dall’enorme macchina corrusca che suscita un fremito di cosa nuova e paurosa ed è esattamente il bello e orribile mostro dell’«Inno a Satana». I quinari di quest’inno si sentono di nuovo nell’accento al correr leggero, sonante, rapidissimo del convoglio il quale fugge divorando il piano.

Ma «Il libro dei morti» è soprattutto notevole, perché vi è l’analisi di due epoche fra loro contrastanti: quella che ha fede nei beni dello spirito e trae conforto dal suo continuo amore per le idee tranquille e per gli insegnamenti della tradizione; l’altra, che, volendo aver precisa conoscenza delle origini e dello svolgersi della vita, è portata a staccarsi dall’antico ed a rompere ogni rapporto con la morale dei nostri padri. Il mondo si trasforma, nota il Panzini. Noi siamo entrati nel turbine della modernità e ci par di udire veramente il grido giunto alla nave di cui si legge in Plutarco che essa veleggiava fra le isole dell’Egeo, quando nella serenità del tramonto la ferì una voce : « Il gran Pan è morto». Pur non senza malinconia si vedono cadere tanti dolci affetti, tante gentili e buone costumanze in cui credevano i nostri antichi. Ma in tale lamento, osserva un giovane al protagonista del «Libro dei morti», vi è piuttosto il dolore che l’avveduto giudizio dell’uomo savio. Il moderno uomo savio non si abbandona ad una morbosa sentimentalità ripugnante alla pura e fredda ragione.

L’ironia del Panzini vuole essere per l’appunto questo uomo che ragiona, ma, mentre difende la nuova regola, fa scorgere quale virtù incorruttibile piaccia alla «morbosa sentimentalità» sconfitta dal secolo che si evolve. In nessuna narrazione del Novecento la parola virtù