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il bacio di lesbia 31

Orazio guardò Augusto e lo vide pensoso.

— Parliamo d’altro, — disse. — Da quanto tempo siete a Roma?

— Il padre mio mi ci ha condotto da Venosa che ero ragazzino.

— Lo sappiamo, lo sanno tutti che siete venosino. Non ve ne abbiate a male, Orazio: siete rimasto provinciale. Posso convenire con voi che ai poeti è lecito dire tutto quello che passa loro per la testa: ma voi oggi siete il poeta d’Augusto.

E Augusto riprende ancora a giocherellare con i fogli di carta intorno al bastoncello.

— Voi fate sottomano del frondismo contro la mia politica edilizia.

— Sottomano, proprio no!

— Sarà sopramano: ma i palazzi che si costruiscono in Roma vi irritano. Per poco non mi denunciate ai Romani come afflitto da mania monumentale. Considerate che quello che i posteri piú vedranno di Augusto, saranno questi marmi. Cerco che non siano deformi. Cosí almeno diranno: «Augusto non era deforme». E voi, Orazio, non siete a vostro modo monumentale?

Augusto gira i fogli e legge:

— «Innalzai coi miei versi un monumento piú imperituro del bronzo». Io mi accontento