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34 | alfredo panzini |
Augusto ascoltò pensoso, poi disse:
— Anzi! Virgilio, in fatti, sotto quel suo Deus nobis haec otia fecit, mi pare nasconda qualche rancura per le alienazioni e le distribuzioni che io feci ai veterani delle terre sul Mincio. Urgevano le necessità della guerra. Rimedieremo come potremo.
Mutò discorso, e domandò:
— Ditemi una cosa: avete molta paura della morte? Mi pare che voi abbiate una paura tremenda della morte. Troppo spesso vi accennate come quando dite: «Godiamo il piacere che quest’oggi ci appresta e non curiamo il domani». Ne derivano dottrine epicuree deplorevoli.
Orazio rispose:
— Vi dirò, o Augusto, che andare fra le genti camuse a cui la Morte rode il naso, non è un pensiero gradito. Negli affari di questo mondo, con un regalo di un paio di buoi si possono transigere molti affari: laggiù Plutone è illagrimabile anche col sacrificio di trecento buoi. Del resto anche Achille temeva la morte.
— Achille era un greco, — ribattè Augusto, — non era romano. La morte si accetta, si sottintende, si tace. Sarebbe un morire due volte se fossimo oppressi anche dall’ansia dell’oltretomba. Ma non parliamo più di queste cose. Scusate, Orazio, dimenticavo che voi siete immortale. Augusto invece, no. È im-