Pagina:Panzini - Il libro dei morti, 1893.djvu/190

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assieme a conversare o a far merenda da qualche contadino.

Fra i molti ragionamenti che ebbero, uno ve ne fu che vuol pur essere riferito.

Una volta dunque — ed era un luminoso e riposato vespero di maggio; ne l’aria cheta si stendeva l’olezzo fresco de le fave e del trifoglio fiorito sì che attorno ne rosseggiavano i campi, — o G. Giacomo — disse il giovane, e avea posato affettuosamente il braccio su la spalla del vecchio — io ti conobbi in altri tempi e tu eri lieto in questa tua buona solitudine dei campi dove sei sempre vissuto. Ora, da quando sono qui, io ti vedo triste e spesso te ne vai come smemorato. Che hai tu? che ti affligge? —

— Vedi, figliuolo, la ragione è che in questo mondo, quale si è fatto oggi in così poco tempo, io non mi ci trovo più, e vi sono come smarrito. È tutta una ruina d’attorno a me: non si crede più in nulla, non c’è più senso di pietà, non religione, ed anche la parola di patria, per cui il padre tuo combattè, più non s’ode: la morale ed i costumi dei nostri tempi sono trascurati o avuti in conto di