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gnare l’automobile. Che fare? Gettarmi ai suoi piedi? Peccato! Adesso non usa più.

Mentre pensavo così, mi sorprendono queste parole di lei.

— Sapete, Sconer, che sono venuta qui anche giovedì scorso? Ma mi hanno detto che voi eravate assente.

— Infatti son dovuto andare a Genova per un certo affare di oggetti preziosi.

— Commerciate anche in oggetti preziosi!

— Ohimè, sì.

Vado a prendere la borsetta, la apro. Ella vi immerge la mano. Esamina: scruta, pesa. Dice:

— Molto bello. Avevamo anche noi tanta di questa roba.

— Questi orecchini di brillanti — dico — mi sembrano quasi degni di lei. Mi piacerebbe provare.

— È inutile: non ho il lobo forato. Non credete? Ella piegò la testa da un lato e, gorgogliando un caro riso, concedette alla mia mano di sollevare la impareggiabile seta dei suoi capelli, affinchè io constatassi che il lobo non era forato. Ma nel toccare quel cosino dell’orecchio, elastico e dolce, io rabbrividii.

Allora quest’anello, contessina.

— Oh sì, questo smeraldo incastonato all’antica mi piace.