Pagina:Panzini - Lepida et tristia.djvu/267

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divagazioni in bicicletta 189


Oh, quelle sempre ricorrenti grandi imagini di simboli, di animali mistici e di fiori, di santi bianchi, di vergini che splendono nell’oro: e quando uscite dai templi, quel diffuso splendore di cielo disteso sulla linea bassa delle paludi e dei pini! L’oriente, dipartendosi, vi ha lasciato bene la ineffabile sua luce! Oh, il fascino delle figure di Giustiniano, di Teodora nella tribuna di San Vitale! oh, sepolcro d’oro di Galla Placidia! oh, statua sepolcrale di Guidarello Guidarelli! Che l’archeologia vi rispetti!

In verità io credo e sento che la storia e che gli uomini scomparendo lasciano pure qualche cosa d’immortale e di inafferrabile, e di non registrabile negli elenchi degli storici.

Io non lo negherò: l’anima mia fu compresa dal terrore per il tempo che distrugge: ma pure e più fortemente fu vinta da un desiderio di amare. Non sogno di gloria, non trionfo di armi, non desiderio di sapienza mi stimolavano più vivamente tra quelle tristezze di memorie e di marmi, no: ma il desiderio di amare, di sorgere con l’amore alla comprensione di tutto ciò che sfugge alla ragione.

Intendiamoci: Ravenna non è come Roma, come Venezia, come Firenze, dove i monumenti saltano agli occhi. A Ravenna bisogna andarli a cercare e scoprire, cosa non facile anche perchè il genio paesano si è esercitato a mutare i nomi a quasi tutte le vie. Vero è che questa devastazione di una fra le città più gloriose del mondo è relativamente recente.

Ravenna al tempo di Dante (era già corso quasi un millenio dal tempo del suo splendore) dovea serbare, benchè antica e diruta, come la ricorda il Boccaccio, tutte