Pagina:Parini, Giuseppe – Poesie, Vol. I, 1929 – BEIC 1889888.djvu/190

Da Wikisource.

tanto tesoro, e d’erudito il nome
ti comparti prostrandosi a’ tuoi piedi?
Vuoi tu i lieti rubini? O piú t’aggrada
sceglier quest’oggi l’indico adamante
965lá dove il lusso incantata costrinse
la fatica e il sudor di cento buoi
che pria vagando per le tue campagne
facean sotto a i lor piè nascere i beni?
Prendi o tutti o qual vuoi; ma l’aureo cerchio
970che sculto intorno è d’amorosi motti
ognor teco si vegga, e il minor dito
premati alquanto, e sovvenir ti faccia
dell’altrui fida sposa a cui se’ caro.
Vengano alfin degli orioi gemmati,
975venga il duplice pondo; e a te de l’ore
che all’alte imprese dispensar conviene
faccia rigida prova. Ohimè che vago
arsenal minutissimo di cose
ciondola quindi, e ripercosso insieme
980molce con soavissimo tintinno !
Ma v’hai tu il meglio? Ah! si, che i miei precetti
sagace prevenisti. Ecco risplende
chiuso in breve cristallo il dolce pegno
di fortunato amor: lungi, o profani,
985ché a voi tant’oltre penetrar non lice.
     Compiuto è il gran lavoro. Odi, signore,
sonar giá intorno la ferrata zampa
de’ superbi corsier, che irrequieti
ne’ grand’atri sospinge, arretra e volge
990la disciplina dell’ardito auriga.
Sorgi, e t’appresta a render baldi e lieti
del tuo nobile incarco i bruti ancora.
Ma a possente signor scender non lice
da le stanze superne infin che al gelo
995o al meriggio non abbia il cocchier stanco
durato un pezzo, onde l’uom servo intenda