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i - il mattino 185


per quanto immensa via natura il parta
dal suo signore. Or dunque i miei precetti
io seguirò; ché varie al tuo mattino
1000portar dee cure il variar de’ giorni.
Tu dolce intanto prenderai solazzo
ad agitar fra le tranquille dita
dell’oriolo i ciondoli vezzosi.
     Signore, al ciel non è cosa piú cara
1005di tua salute; e troppo a noi mortali
è il viver de’ tuoi pari util tesoro.
Uopo è talor che da gli egregi affanni
t’allevi alquanto, e con pietosa mano
il leso per gran tempo arco radente,
1010Tu dunque allor che placida mattina
vestita riderá d’un bel sereno
esci pedestre, e le abbattute membra
all’aura salutar snoda e rinfranca.
Di nobil cuoio a te la gamba calzi
1015purpureo stivaletto, onde giammai
non profanin tuo piè la polve e il limo
che l’uom calpesta. A te s’avvolga intorno
veste leggiadra che sul fianco sciolta
sventoli andando, e le formose braccia
1020stringa in maniche anguste, a cui vermiglio
o cilestro ermesino orni gli estremi.
Del bel color che l’elitropio tigne
o pur d’oriental candido bisso
voluminosa benda indi a te fasci
1025la snella gola. E il crin... Ma il crin, signore,
forma non abbia ancor da la man dotta
dell’artefice suo; che troppo fòra,
ahi troppo grave error lasciar tant’opra
de le licenziose aure in balia.
lo 30 Né senz’arte però vada negletto
su gli omeri a cader; ma, o che natura
a te il nodrisca, o che da ignote fronti