Pagina:Parini, Giuseppe – Poesie, Vol. I, 1929 – BEIC 1889888.djvu/35

Da Wikisource.

poesie serie 29


XLVIII

     Filli, questo splendor che con tant’arte
fregi e nodrisci, leggier fumo ed ombra
è certamente, cui morte disgombra,
o van gli anni struggendo a parte a parte.
    Volgi le greche e le latine carte,
ove di gran beltá donna le ingombra,
e scorgerai come la terra sgombra
ne fu ben tosto e l’arse membra sparte.
     Ov’è l’egizia che cotanto piacque
al roman duce? Ov’è colei che mosse
Argo tutta a seguirla in mezzo all’acque?
     Anzi, chi ’l corpo sol, chi le nud’osse,
chi la tomba n’addita ov’ella giacque,
poiché ’l filo di lei breve troncosse?

XLIX

     Gira l’alta donzella, e in mille modi
tesse i teneri balli, e, piú che ai vasti
musici cori, attende alle sue lodi,
onde avvien che ad ogn’altra ella sovrasti.
    E in tanto il re, preso ai soavi modi
cui non è si gran core il qual contrasti,
dice: — Chiedi a me quel di che piú godi,
benché mezzo il mio regno anco non basti. —
     Ella: — Se tanto di tua grazia abbondo,
dammi, — disse, — Giovanni. — E tosto un riso
fe’ sul volto apparir vago e giocondo.
     Giá non rise il signor, dal duol conquiso;
pur: — Si faccia, — rispose. Ahi mondo, ahi mondo,
quanta legge t’impone un dolce viso!