Pagina:Parini, Giuseppe – Poesie, Vol. I, 1929 – BEIC 1889888.djvu/67

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capitoli 61


     Voi ne farete pur delle stampite
in su quel chittarrone alto e sonoro
che potrebbe trar l’anime da Dite.
     E sempre intorno il leggiadretto coro
80avrete delle Muse, che lontane
se ne stan dagli strepiti del fòro:
     e scriverete con ambe le mane
in prosa e in versi roba si squisita,
da mangiarsela tutta senza pane,
     85e leccarsene ancor l’ugne e le dita.
Oimè che versi, oimè che dolci prose,
oimè che roba, corpo di mia vita!
     Quand’io ci vo pensando a queste cose,
mi sdilinquisce dentro al petto il core,
90come s’io fossi in mezzo a un pa’ di spose,
     e ch’ambedue mi amassono d’amore,
e facesson tra loro a chi piú bene
mi vuole, e ’l dimostrassono di fuore.
     La paritá qui non ci calza bene:
95ma io l’ho detta per un verbigrazia,
per una cosa che in bocca mi viene,
     che non credeste, giá per mia disgrazia,
ch’io me le andassi cosí nominando,
perché le donne mi fossero in grazia:
     100ch’io vi giuro per la spada d’Orlando,
e per lo ’ncanto di madonna Tessa
ch’io le vorre’vedere tutte in bando.
     Ma sta quistion lasciamola soppressa,
acciò, col dire, scorger non mi faccia;
105perché tal burla che poi si confessa.
     Io vo scrivendo giú questa cosaccia,
senza considerar quel ch’io mi faccio,
e ci do drento a forza delle braccia.
     E voi direte: — Guata cervellaccio,
io che non sa né men e’ quel che si dica,
che vuol far del saccente, ed è un babaccio. —