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Pagina:Parini, Giuseppe – Poesie, Vol. I, 1929 – BEIC 1889888.djvu/69

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capitoli 63


     Ma sento che gridate: — Oh quid est hoche.
Saprò ben dir, senza che tu m’insegni:
Hanno a menar i paperi a ber l’oche? —
     Per questo io pianto qui d’Èrcole i segni,
e dico: — Non plus ultra, o Musa mia,
ché gli uditori ne son pregni pregni: —
     e sono stiavo di Vossignoria.

XC

[3]

     Manzon, s’i’te l’ho detto, tu lo sai,
e s’i’ non te l’ho detto, tei vo’dire:
quand’i’te l’arò detto, il superai.
     Son risoluto di voler morire,
e non ci voglio metter tempo in mezzo:
guarda capricci che soglion venire!
     I’ mi volea morire sino ha un pezzo:
ma non ci ho mai potuto trovar modo,
ch’a questa cosa non ci sono avvezzo.
     Ho attaccato un bel capresto a un chiodo,
e delle volte diece sono stato
per cacciare la testa drento al nodo:
     ma prima, di far questo, ci ho pensato
ch’egli è una morte da furbo, da baro,
cioè a dir quel morire impiccato.
     Ché giá ch’ho a fare questo passo amaro,
i’ non vorre’ po’ poi che le persone
m’avessono a stimare un bel somaro,
     perch’i’ non abbia fatto elezione
di qualche morte almen da galantuomo,
non mica da furfante e da briccone.
     Se ci fusse stampato qualche tomo
il qual mostrasse tutte le maniere
di far tirar le calze a un pover’uomo,