Pagina:Parini, Giuseppe – Poesie, Vol. II, 1929 – BEIC 1890705.djvu/107

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i - in morte dello sfregia barbiere


imperocché Pilato
60l’usò quel di che si lavò le mane;
e da quel giorno in poi
non avea visto mai laghi o fontane.
Tu con que’ diti tuoi
questa reliquia cosí rara e sola
65tra ’l collar conficcavimi e la gola.
Si tosto, al collo intorno
cominciavo a sentire
certo soave insolito prurito;
segno, piú assai che ’l giorno
70chiaro, di quel che poi dovea seguire
gran piacere infinito.
Un popolo smarrito
quest’era d’animai vaghi e giocondi,
che da quel panno allora
75trasmigravano insieme a novi mondi;
e questo avanzo ancora
teco io facea, che quelle bestiuole
ne venien meco a crescer la lor prole.
Di stagno un bacinuzzo
80poi m’accostavi al mento,
che arnese non fu mai piú di quel ghiotto.
D’un peregrino puzzo
tutto spirava e di fuora e di drento,
che al naso facea motto.
85Da un lato era un po’ rotto:
e di quivi, nel mezzo al mio diletto,
scendea l’unto odoroso
misto col ranno a profumarmi il petto.
Muse, per me non oso
90dir di quel che seguia quanto conviene;
aiutatemi voi a dirne bene.
A dir quasi m’impaccio
come, o gentil barbiere,
tu m’impiastrassi di sapon la guancia.