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iv - il trionfo della spilorceria | 131 |
sol per veder s’alcuno in fra la gente
65io ci conosco; e ne conobbi assai;
e vidici fra gli altri un mio parente.
Ma la mia scorta disse: — Attendi ornai
que’ che in spilorceria fur piú famosi
e di cui conoscenza tu non hai. —
70A guardare a’ suoi cenni allor mi posi.
Ei disse: — Vedi quel che gli occhi acuti
levar dal carro d’òr par che non osi? —
— Dimmi chi è colui, se Iddio t’aiuti, —
diss’io; ed egli a me: — Quegli è Euclione
75che chiaro è ne’ latin comici arguti.
Ecco un soffietto al collo ha ciondolone;
e perché ’l fiato invan non mandi fuore,
alla bocca il turacciolo gli pone.
Mira la coppia di que’ due che onore
80hanno da ognun passando: uno è Giuliano,
e l’altro è Sergio Galba imperadore.
Irato ha questi lo stidione in mano,
per foracchiare la ventraglia al cuoco
che a certi ambasciador fu troppo umano.
85E quegli la basoffia, che dal fuoco
appena è tolta mangia, e un’insalata
che ha dello aceto assai, dell’olio poco.
Sai d’una lepre che gli fu donata,
e d’un porcel che a tutta la sua corte
90han per tre di la mensa apparecchiata? —
Io sta vanii, qual uom che teme forte
no ’l compagno gli ficchi una carota,
ornando il falso con maniere accorte;
quando il buon duca mio mi disse: — Nota
95colui che viene. — E innanzi un mi si fece
che avea incavata l’una e l’altra gota.
— Tinto è costui della medesma pece:
ei mangiò al desinar la carne stracca,
e una minestra sua di riso e cece.