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132 terzine


     100Chiamossi Pertinace; e a lui s’attacca
chi messe la gabella in su i’orina,
del cui danar non gli putien le sacca.
     Presso a lui ne vien quel di Cascilina.
Mai non fu di costui maggior spilorcio,
105dacché ’l fuoco va ’n su, l’acqua alla china.
     Ei di vita ridotto in su lo scorcio,
d’assedio e fame si morio piuttosto,
ma vendè per danar l’unico sorcio. —
     — Chi è colui che se ne vien discosto
110dagli altri, tinto il sen di sangue o d’ostro? —
i’ dissi al mio maestro. Ed ei ben tosto:
     — Egli è Caton, famoso in ogni inchiostro,
che prestò altrui per òr la sua mogliere;
e d’esempi non manca al secol nostro.
     115Anco Dionisio tu ci puoi vedere
che i peli si bruciò col moccolino,
per avanzar la mancia del barbiere.
     Ecco Ermon che d’aver speso un quattrino
sogna la notte; e si la doglia il fiede
120che ad una trave impiccasi ’l mattino.
     Ermòcrate che fe’ sé stesso erede,
ed Occo re, che, per non dare altrui,
non pose mai fuor di sua casa il piede. —
     Si come il fanciullino che con dui
125occhi guarda nel viso alla nutrice
che le sue fole va contando a lui:
     ed ei, che crede il ver quel ch’ella dice,
ora si duole, or ride, or face altr’atto,
secondo il dir di lei tristo o felice:
     130tal io né movo piè né ciglia batto,
al dire, ai cenni del mio duca intento:
ed eccoti venire un altro matto.
     Presso alla turba ei si conduce a stento.
— Quegli è Ahneone, — allor disse il mio duca;
135— e’l don di Creso fallo andar si lento.