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140 terzine


     Forse d’amaro fiel gli scritti io vergo?
Verghinsi pur gli scritti; a me che importa,
30se all’onesto ed al ver non volto il tergo?
     Vanne, Filosofia, povera e smorta;
ma fa che ’l tuo baston giá mai non batta
allo sportel d’un’elevata porta.
     Piú non ritorna quell’etá siffatta
35in cui le filosofiche bigonce
la maestá degli Alessandri han tratta.
     Chi t’inuggiola il cor con cose sconce,
e scritte in uno stil degno di remi,
questi a libbre abbia l’ór, non pure ad once.
     40L’Aretino animale ognor si premi;
ma il Franco povere!, che sa qualcosa,
soltanto aspetti il paretaio del Nemi.
     Come addunque potranno e versi e prosa,
o vuo’ tu la spiantata o vuoi la ricca
45gente rendere in un chiara e famosa?
     — lo,—con volto seren dice lo Sbricca,
— convien che ’l tempo e le sostanze io libri
fra teatro e corteo e bisca e cricca. —
     Soggiunge un altro: — E d’uopo è ch’io delibri
50di non beccarmi piú il cervel cotanto;
ch’io non ho pan, s’io non rosecchio i libri. —
     Il grasso Sbricca, e quel meschino intanto,
l’uno per poco aver, l’altro per troppo
lasciano i sacri studi ognor daccanto.
     55O Italia, Italia! e perché mai si zoppo
torna quel secol d’ór che ratto andonne,
come un destrier che corra di galoppo?
     Aranno ingordi mimi e le lor donne
quel che dièr Mecenate e ’l buono Augusto
60a que’ giá di saper ferme colonne?
     Che strana infermitá t’ha guasto il gusto,
o piuttosto il cervel, che J’òr tu gitti
lunge cosí dall’uso tuo vetusto?