Pagina:Parini, Giuseppe – Poesie, Vol. II, 1929 – BEIC 1890705.djvu/147

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vi - lo studio 141


     I giorni di Neron forse prescritti
65ácci puranco il ciel, quando in teatro
si stavano i roman si intenti e fitti;
     e in vista del lor danno immenso ed atro,
alla voce s’udia d’un castroncello
tutto applaudire il popolo idolatro?
     70Ella mi fuma, e rodomi, e arrovello,
veggendo i ruspi ornai gettarsi a carra
dietro al vile ragliar d’uno asinelio:
     e a chi si sta la fantasia bizzarra
stancando ognor colla sospesa penna
75negarsi infino un quattrinel per arra.
     Manco male però che la cotenna
non grattan giá per accattarsi un marco,
ma perché un bel desio lor l’ale impenna:
     un bel desio di gir sublime e scarco
80su per la via d’onor diritta e franca
che non adduce altrui di Lete al varco.
     Ma che fará la giá spossata e stanca
schiera gentil, se, poiché ’l pan piatisce,
il desco della gloria anco le manca?
     85Odi ser Busbaccon che ancor putisce
d’unto di buoi; e dallo aratol tratto
a la rustica treggia il cocchio unisce;
     e’ dice che coloro han ben del matto
che per isquadernar qualche libraccio
90e resto e saldo a’ lor piaceri han fatto.
     E ’l ricco, e ’l poverello, e ’l popolaccio,
e chi vien dalle costole d’Adamo,
tutti di dirne mal tolgons’impaccio.
     L’uno dice che noi, còlti a quell’amo
95di sentirci lodar ben da parecchi,
ciò che piú ne fa d’uopo andar lasciamo;
     insino a’ pesciaiuoli, a’ ferravecchi,
e que’ che stanno a venderci la trippa
fannone un chiasso da intronar gli orecchi,