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142 terzine


     100e la Cesca e la Nencia e la Filippa
sannoti dir, sbarbando la conocchia,
che dimagra il poeta, e non istrippa.
     Se tu ne vai per via, ognun t’adocchia,
e fa motto al compagno, perch’e’ guati
105uno ch’ha la pazzia per sua sirocchia.
     E infine odi gridar da tutti i lati,
che ’l volere studiar lettere umane
egli è appunto un mestier da sfaccendati;
     che voglionsi lasciar cose si vane;
110e che a fama immortale e non oscura
dèssi anteporre il procacciar del pane.
     Cosí contro di noi le bocche stura
la turba di color che a’ giorni nostri
hanno posta nel fango ogni lor cura.
     115A bestiacce malvage, a feri mostri
destina intanto il volgo, e a gente trista
i belli applausi e i lodatori inchiostri;
     a un bacchetton che pare un santo in vista,
e bindoli fa poi degni di forca
120con un empio pensar macchiavellista;
     a un dottorello che le leggi storca,
onde poi coll’altrui se ne va in cocchio,
e polli e starne alla sua mensa inforca;
     anzi a un tinto musin che, con un occhio
125che mover non si può dentro alla biacca,
l’anima infilza al guardator capocchio.
     Quale stupor però se ognun si stracca
dello studiar, poiché niun premio trova,
e non ha chi lo stimi una patacca?
     130e che la bile che nel sen mi cova
bullichi alfin, e poi sciolta in rimbrotti,
qual da pentola umor, trabocchi e piova?
     Maraviglia ben è che sien si cotti
alcuni di studiar, benché la sorte
135mai sempre incontro a lor le ciglia aggrotti;