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vii - il teatro | 145 |
<poem>
Eccoci del teatro in su le porte:
vedi ’l portier con minaccevol fronte, 30ché le pubbliche lance il rendon forte.
Non parti ’l ceffo del crudel Caronte
che l’obolo a le vòte anime chiegga su la riva de l’ultimo Acheronte?
Entriam; ma fa ben poi che tu ti regga
35incontro all’ira; e il periglioso a dire sol nel volto sdegnoso altri ti legga.
Entriam dopo costui, che tanto a uscire
sta di carrozza, e seco al fianco válli l’altrui moglie ch’egli ha tolto a servire.
40II marito aspettando a casa stalli;
e de la mellonaggin del marito ridono i consapevoli cavalli.
Stimasi oggi un error d’esser punito,
non che da tinger per rossor le guance, 45veder lo sposo a la sua moglie unito.
O Astrea, o Astrea nimica delle mance,
che sei scappata di quaggiuso al cielo per non avere il tratto alle bilance,
scendi or di nuovo; ché non pure il pelo
50cangia il mondo alla fin; ma tuttavia cacciane i vizi di virtú col telo.
Quella peste chiamata gelosia
pur se l’è colta; e l’adulterio atroce sen fugge ornai per la medesma via:
55però che all’uom piú non incresce o nuoce
sopra gli altri apparir con quel cimiero ch’ebbe a’ tempi piú rei si mala voce.
Ma giá siam dentro, o Musa: il bel severo
contegno verginal pon giú e spalanca, 60benché cosí modesta, i lumi al vero.
Vedi qual ampio sorge a destra e a manca
edificio sublime: il fulgid’auro del vario ordin de’ palchi il guardo stanca.