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148 terzine


     Ben ride dello sparmio lungo e grave
della moglier del Gisca refaiuolo
sol per comprar d’un seggiolin la chiave;
     ma s’arma d’un acuto punteruolo
140contro a chi, per aver palchetti e cocchi,
fa di sé stessa abbominevol noio.
     E chi rattiemmi si ch’io non iscocchi
contro agli avari diversori un motto,
ov’è piacer sovente altro che d’occhi?
     145o contro all’esecrabile ridotto,
laddove un uomo ricco sfondolato
sur una carta spiantasi di botto?
     Per Dio! meglio saria, Musa, ch’entrato
io non ci fossi mai, però ch’io trovo
150materia da miei versi in ogni lato.
     Ben vedi quante qui, come in lor covo,
si stanno scelleraggini raccolte.
Ma non cerchiam di grazia il pel nell’uovo:
     ridiam soltanto delle varie e folte
155maschere che co’ lor strani capricci
par che dato al cervello abbiati le volte.
     Quanti vedrai spropositi massicci!
quanti birboni avviluppati in ostri!
e in pelle di lione oh quanti micci!
     160Ma bene sta che fuor non ne dimostri
l’abito il cor; poiché troppo gran parco
noi vedremmoci aver d’orridi mostri.
     Del poeta ridiam, che fatto un arco
ha della bocca, e gonfi ha gli occhi appunto
165qual chi di troppo duol cede all’incarco.
     Ei leva ambe le mani e ’l viso smunto
al ciel pietosamente; e cosí esclama:
— Odi, Apollo, il tuo servo ornai consunto!
     Dunque tu crei, per adempir la brama
170sol de’ canori sozzi avidi lupi,
la tua possente ognor fulgida lama?