<poem>
135ella sognò il pastore, il pastor lei,
si che, accesasi in ambo la vaghezza
di rivedersi, al praticel sovente
poi convennero. E quando all’iemale
rigor cesse l’autunno, ed ogni cosa
140in alto gelo biancheggiò sepolta,
gl’innamorati sospiravan mesti
ne’ lor tugurietti. Oh quante volte
Eurilla, al focolar muta sedendo,
i di contava susseguiti a quello
145che vide Silvio ultimamente! Oh quante
nel caldo imaginar ne disegnava
il patetico sguardo e l’amoroso,
de’ suoi baci sospir, molle sorriso,
dando occhiate furtive alla vicina
150vigilanza materna, per sospetto
non le scoprisse da’ sembianti il cuore.
Talor vedendo i suoi dolci colombi
dopo il pasto orgogliosi e mormoranti
l’un l’altro codiarsi o spander l’ale
1550 porsi il becco l’un all’altro in bocca,
la semplicetta invidiar parea
quegl’innocui trastulli. Una fuggiasca
scorserella al suo prato ancor soleva
far ne’ giorni piú miti; e lo trovando
160sempre coperto di squallore, al pianto
s’inteneriva si, che rubicondi
le duravano gli occhi in fino a casa,
ove con piè men lesto ritornava.
A Silvio pure la ridente imago
165della vergine bella e desiata
stava dinanzi ognora, e d’allegrezza
gli era cagione e insiem di patimenti.
Perché dentro al domestico abituro
(da quel d’Eurilla molta via remoto)
170accigliata matrigna il tenea chiuso