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III

ALLA DUCHESSA SERBELLONI OTTOBONI

Spesso de’ malinconici sapienti
mi risi entro al mio core,
duchessa, allor ch’io li vedea pensosi,
e con ciglia dolenti,
5incrociando le palme accusar l’ore
de’ nostr’anni affannosi
e gridar: — Nessun ben sperar non osi
qualunque è nato ad abitar quest’orbe
che de’ mondi migliori
10cure, affanni e dolori,
quasi sentina universale, assorbe;
e in cui solo al meschin uom la sventura
dal nascere al morir la via misura. —
Folli, che da sé stessi a sé formáro
15durevole tormento,
e i pasciuti di duol tetri e ferali
occhi mai non alzáro
in viso a la speranza un sol momento,
che con verdissim’ali
20venia da lunge diradando i mali!
Anzi, mirando ognor veste e divisa
mutarsi all’emisfero,
e a gli uomini pensiero,
e voglie alli animai, sol essi, in guisa
25d’eneo colosso, stabile la pena
piantar nel mezzo a si volubil scena.
Qualor vid’io la dura alpina vetta,
bianca d’orribil gelo,
assiderar lo spettator lontano,