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sonetti | 251 |
XX
PER LA STESSA
— Quando costei su la volubil scena
di celeste bellezza apre i portenti,
e il notturno spettacolo serena
co’ raggi del bel volto, Amor, che tenti? —
— Entro per gli occhi a quel prodigio intenti,
scendo ne’ cori, e lá calmo ogni pena;
desto teneri sensi; empio a le genti
di foco soavissimo ogni vena. —
— E quando, simulando i prischi lai,
dai due coralli de la bella bocca
scioglie il canto amoroso, Amor, che fai? —
— Volo al bel labbro onde il piacer trabocca,
e grido: Oh in terra fortunato assai
chi si bel labbro ascolta o vede o tocca! —
XXI
A MARIA VERGINE
[I759-]
Fior de le vergini, non pur che sono,
ma che mai furono e che saranno,
bambin chi diedeti si caro in dono
che alati spiriti servendo stanno?
Posto ha l’etereo sublime scanno
per te l’Altissimo in abbandono;
e fra le grazie, che ornando il vanno,
del tuo sen formasi amabil trono.
Oh come il tenero fanciullo mai
sugge avidissimo quindi l’umore
che ambrosia e nèttare vince d’assai!
Non pure al piccolo divin Signore,
ma a tutti gli uomini vita darai,
fior de le vergini, col tuo licore.