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sonetti 261


XXXIX

IN MORTE DEL CONTE GIUSEPPE MARIA IMBONATI

[1768?]

     Vedete, oh Dio! vedete. Ecco la Morte.
Ha il digiun su le zanne. — Olá, mostro empio,
ferma. Com’osi tu di questo tempio
sacro a l’Eternitá tentar le porte? —
    Folle! che dico? Ahi, la crudel sua sorte
getta tra il padre e il figlio. Ahi, che lo scempio
cade sul padre, e noi perdiam l’esempio
d’ogni bell’arte e il protettor piú forte.
     Ecco, ahimè! seco il fulmine fischiando
balza il platano a terra. Arde il gran dorso.
Vedete i cigni che ne vanno in bando.
     Povere Muse, ove drizzate il corso,
per la campagna raminghe ululando?
Ahi disperate! ove trovar soccorso?

XL

IN MORTE DELLO STESSO

[1769.]

     No non si pianga un uom d’ingegno eletto
che, per costumi e nobil’arti chiaro,
visse a le dame e ai cavaiier si caro,
in ciel rimoto e sotto al patrio tetto;
    un uom cui la pietá, l’amor del retto,
la caritá, mille altre doti ornáro,
e visse ne la patria esempio raro
di sposo e padre e cittadin perfetto;
     un uom che, pieno alfin di inerti e d’anni,
placidamente a piú beata sede
passò, fuggendo dai terreni affanni;
     un uom che, mentre al comun fato cede,
lasciò, per compensare i nostri danni,
di sue virtú tanta famiglia erede.