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262 | sonetti |
XLI
PER L’ENTRATA A ROMA DELL’IMPERATORE GIUSEPPE II
[1769.]
Quando il nume improvviso al suol latino,
benché celando i rai, sentir si féo,
scosse Roma i gran fianchi e il cor s’empieo
di speme, e volse in mente altro destino.
Mugghiò l’urna del Tebro e al mar vicino
piú minaccioso il suo fragor cadeo;
balzáro i sette colli; e dal Tarpeo.
vibraron l’aste lor Marte e Quirino.
Ma la Superstizion col cieco morso
frenò gl’impeti arditi a Roma in petto;
e grave le pesò sul senil dorso.
Quella infelice ripiombò nel letto
di sue vergogne, e disperò soccorso:
e il momento miglior sparve negletto.
XLII
PER UN PUBBLICO SPETTACOLO DI CACCIA
dato a Milano il 23 settembre 1770.
E volpi furibonde, e gatti ardenti,
e lepri dispietate, orrida scena!
facean tremar la perigliosa arena,
e palpitar le coglionate genti;
quando l’asino entrò, di tuono e venti
e fulmini versando orribil piena
dal culo, intorbidò l’aria serena;
cosí raghiando in minacciosi accenti:
— Cedete al mio valor, barbari mostri;
cani, tremate; e sotto al mio funesto
vittorioso calcio ognun si prostri.
Grazie agli edili, io questo suol calpesto,
e son degno di loro: i pari nostri
trionfan oggi, e il secol nostro è questo. —