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268 | sonetti |
LIII
PER UN PALLONE AEREOSTATICO
[1784.]
Ecco del mondo e meraviglia e gioco
farmi grande in un punto e lieve io sento;
e col fumo nel grembo e al piede il foco
salgo per l’aria e mi confido al vento;
e mentre aprir novo cammino io tento
all’uom, cui l’onda e cui la terra è poco,
fra i ciechi moti e l’ancor dubbio evento,
alto gridando, la Natura invoco:
— O madre delle cose! Arbitrio prenda
l’uomo per me di quest’aereo regno,
se ciò fia mai che piú felice il renda:
ma, se nocer poi dee, l’audace ingegno
perda l’opre e i consigli; e fa’ ch’io splenda
sol di stolta impotenza eterno segno. —
LIV
PER LA VENUTA DI GIUSEPPE II A MILANO
[1784.]
I.
Scorre Cesare il mondo, e tutto ei splende
sol d’egregia virtude, e il fasto sdegna;
e fra i popoli avvolto il vero apprende,
e dall’alto dei troni il giusto insegna.
Indi a stranio poter limiti segna;
qui delle genti la ragion difende;
e all’oppresso mortai da forza indegna
or la mente ora il piè liberi rende.
Toglie a la frode e all’ignoranza il velo;
fonda l’util comune; e ovunque ei giri
veglia, suda, contende, arde di zelo;
e fa che il mondo in lui rinati ammiri
quei che la prisca etá pose nel cielo:
Teseo, Alcide, Giason, Bacco ed Osiri.