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270 sonetti


LVII

IN OCCASIONE D’UNA MASCHERATA DI FACCHINI

PER I REALI DI NAPOLI

[1785.]

I.

     Alto germe d’eroi, cui diè natura,
il popolo ad amar, cor grande e schietto,
si che, dovunque hai d’abitar diletto,
sei del popol tu pur delizia e cura;
    or che concesso è all’insubre ventura
mirar vicino il tuo sublime aspetto,
queste non isdegnar, che il nostro affetto
nuove per gli occhi tuoi pompe figura.
     Ché, se destra incitò tue voglie, pronte
ai forti studi e all’utile fatica,
gente feroce in sul toscano ponte,
     noi mostrerem, ne la sembianza antica,
con mite scherzo a te scesi dal monte,
quant’hai la mente ai dolci sensi amica.

LVIII

2.

     Bella gloria d’Italia, alma sirena,
che non con arte o con fallaci detti,
ma con mille virtú l’anime alletti,
e lieta fai di te l’onda tirrena;
    poi che vento propizio a noi ti mena,
ecco, giá sorti da gli angusti letti,
l’Adda e il Tesin tributo offron d’affetti
a te dell’ampio mar luce serena:
     e noi genti montane in riva scese,
se non perle e coralli, almen natia
preda portiamo al nume tuo cortese.
     Perché Giove due cori a noi non diede?
Ché l’un sarebbe tuo, l’altro saria
intatto all’altra dea, che giá il possiede.