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272 sonetti


LXI

2.

     — Stolta è costei che in solitarie mura
affrettasi a seguir la steril croce,
e, di patria e d’amor sorda a la voce,
simili a sé di propagar non cura. —
    Tal odo bestemmiar la setta impura,
cui l’appetito a lo intelletto nuoce,
e lungi da le nozze erra feroce
la virtú deturpando e la natura.
     Vergin chiamata a le piú nobil sorte,
sdegna il parlar degli empi, e in atto pio
chiudi al cospetto lor le sacre porte.
     Quei co’ detti e con l’opre a Satán rio
servon costretti; e tu libera e forte
doni te stessa, ostia innocente, a Dio.

LXII

PER LA MONACAZIONE DELLA STESSA

nel monastero della Beata Vergine Assunta in Vigevano [1788?].

I.

     — Non a voi, sorde mura, esposte al danno
e del tempo e de’ casi, ov’io giá il piede
libera posi, or, dopo vólto un anno,
i giuramenti miei sacro e la fede;
    a Dio bensí, che mai non paté inganno,
che nel profondo cor penetra e vede,
e ovunque sièno, in vario albergo e in panno
le giá devote a lui anime chiede. —
     Cosí la vergin saggia. E dal bel velo
le luci alzando a la sacr’ara fisse,
tutta nel volto fiammeggiò di zelo.
     E allor l’Eterno in adamante scrisse
il nobil detto, che sembrò nel cielo
novo d’astri fulgore a i guardi aprisse.