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sonetti | 273 |
LXIII
2.
Quanti celibi e quanti al mar consegna
la cupidigia de’ mortali! Quanti
ne spinge in guerra all’altrui danno e ai pianti
crudele ambizion, quando si sdegna!
Quanti ne le cittá la turpe insegna
seguon d’ozio inimico a i nodi santi!
E tu, perversa etá, quei lodi e vanti,
e noi sol gravi di calunnia indegna?
noi poche verginelle, a cui la face
di caritade accende il divin lume,
e penitenza e solitudin piace?
noi che, súpplici ognor davanti al nume,
sul popolo invochiam dovizia e pace
e custode a le leggi aureo costume?
LXIV
A SILVIA CURTONI VERRÀ
[marzo 1789.]
Silvia immortai, benché da i lidi miei lontana il patrio fiume illustri e coli; e benché dentro a i gorghi atri letei ogni dolce memoria il tempo involi; pur con lo ingegno, onde tant’alto voli, e con le vaghe forme e i lumi bei, dopo si lungo variar di soli, viva e presente nel mio cor tu sei. E spesso in me la fantasia si desta, tal che al di chiaro e ne la notte bruna te veggio, e il guardo a contemplar si arresta. Né ben credendo ancor tanta fortuna, palpito e grido: — O l’alma Silvia è questa, o de le Grazie o de le Muse alcuna. —