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iii - iside salvata 55


Oro, Apollo.

Oro. Che turbolenti affetti

mi si destano in sen! Veggio i perigli,
e penetrar non posso,
se minaccin la madre, oppure i figli.
Atollo. Prence, non disperar. Spesso il Destino
arma i fulmini suoi.
Par che sopra di noi
tutte voglia avventar Pire del cielo.
Ma que’ fulmini poi
noi veggiam declinare,
e scaricarsi alfine
sui despoti infecondi, e sopra il mare.
Lascia al popolo ignaro
l’inefficace tema, e noi stiarn pronti
a trovarci un riparo.
Oro. E qual riparo,
e quale schermo opporre al crudo mostro,
che col fiato avvelena, e tutto è armato
delle forze d’A verno?
Apollo. Or non confidi
tu punto in questi dardi,
che mi pendono al tergo? E non rammenti
qual de’ fiori e dell’erbe
io far usi portenti? Ogni mia forza
metterò in opra; e del mio sangue istesso
lascerò, per salvarvi, il suolo impresso.
Oro. Lodo, amico, il tuo zelo. Assai mi fido
delle promesse tue. Ma pur confine
serba il potere umano.
Sai quante volte, oh dio!
Tifon ci offese, e l’assalisti in vano.
Apollo. Tenti l’uom ciò che puote, e poi del cielo
s’abbandoni al soccorso.