Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/260

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Troppo malagevole cosa sarebbe e fors’anche inutile l’investigare delle rovine di quante lingue diverse sia composta la nostra, ed impossibile poi il cernere i vocaboli che appartengono a ciascuna di esse. Gioverá soltanto di avvertire che gran parte ci è rimaso del latino che noi conosciamo, e parte ancora di quello a noi ignoto, che parlar dovevasi dalla plebe e dal contado dell’antica Roma. Queste nuove materie, vale a dire questo nuovo complesso di vocaboli, nell’uso de’ quali andavan convenendo fra sé i diversi popoli dell’Italia, dovettero vagare per le diverse province, e, secondo che in un luogo o in un altro venivano a stabilirsi, cosi pigliavano diversa modificazione dalle circostanze e dalle disposizioni particolari in cui ciascuno de’ popoli italiani poteva trovarsi relativamente all’afTare del linguaggio. Quindi probabilmente nacquero i diversi dialetti, che sembrano provenire o riuscire ad una lingua comune, i quali tuttora sussistono e volgarmente si parlano in Italia. Ma per qual ragione la favella speziale de’ toscani ebbe poscia tal predominio sopra i dialetti delle altre province, che sola divenisse la lingua nobile comune a tutta l’Italia? La ragione di ciò è palpabile. I toscani, nazione naturalmente di spirito assai vivace e di sottile ingegno dotata, furono i primi che, nauseando il cattivo latino, il quale solo ne’ primi tempi della nuova lingua adoperavasi nelle scritture e nelle pubbliche concioni, osarono tentare se il nuovo loro idioma fosse atto a quella parte dell’eloquenza che dipende dalla elocuzione e dallo stile, e se fosse adattabile a scrivere in esso plausibilmente opere d’ingegno. Molto piú vennero essi a questo cimento animati dallo esempio de’ siciliani e de’ provenzali, che, alquanto prima e di que’ tempi eziandio, andavano scrivendo le loro volgari poesie, singolarmente nobili e leggiadre, divenute famose nelle corti amorose della Francia e dell’Italia. Fortunatamente, ancora nell’atto del tentare, trovaronsi eglino fra le labbra un linguaggio composto di voci facili, graziose, sonore per la disposizione degli accenti e per la quantitá delle vocali, che, interponendosi alle consonanti, ne temperavano l’asprezza e, terminando la parola,