Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/277

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al secondo: imperciocché il Macchiavelli verrebbe cosí ad avere le condizioni che necessariamente formano il buono scrittore; e l’altro, mancando delle necessarie, avrebbe quelle soltanto che sono di soprappiú, e che per questa ragione appunto il renderebbono piú difettuoso. Ma come è possibile mai d’essere nello stesso tempo chiaro, efficace e breve, senza aver perfetta cognizione e senza fare un retto uso della lingua nella quale si scrive, giacché dall’ottima applicazione e dalla giudiziosa scelta de’ termini dipende massimamente la chiarezza, la brevitá e l’efficacia dello stile? Una delle ragioni, che questo grammatico adduce per condannare di cattivo stile il filosofo, si è Tesser questi nato in mal secolo, cioè nel Quattrocento. Ma perché loda poi egli altri scrittori che nacquero nel secolo medesimo? Un’altra delle dette ragioni si è che il segretario fiorentino scrisse del tutto, senza punto sforzarsi, nella favella che correva nel tempo suo. Ma il segretario era toscano, e le lingue viventi sono soggette a cambiamento: bene adunque fece di accomodarsi alla lingua che parlavasi del suo tempo dal popolo nel quale egli scriveva; e non sarebbe riuscito nel suo dire cosi maravigliosamente chiaro ed efficace, tanto da paragonarsi a Cesare e a Tacito, come dal Salviati si concede, se giá cosi non avesse operato: conciossiaché la chiarezza del dire consista principalmente nel servirsi de’ vocaboli i piú intelligibili alla moltitudine delle persone con cui si parla; e l’efficacia medesimamente resulta in gran parte da ciò, perché le voci e le forme del dire allora sono piú efficaci quando sono piú proprie, e le piú proprie sono quelle che attualmente sono in uso, non giá quelle che sono dismesse. Oltre di ciò, se questo valesse, il Salviati medesimo dovrebbe esser giudicato cattivo scrittore (la qual cosa nondimeno non potrebbe dirsi senza grave ingiuria d’un uomo cosí benemerito della nostra lingua), perché anch’egli, nelle sue opere, scrive assai differentemente di quello che il Boccaccio facesse; anzi egli medesimo se ne protesta chiaramente sul bel principio della sua maggior opera, vale a dire de’ piú volte citati Avvertimenti. Per ultimo il Salviati, in conferma del suo assunto, soggiugne che il segretario non volle