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la poesia lirica in roma 113

Si amarono: gli occhi di Catullo non videro più che lei. È un grande avvenimento nella sua vita la morte d’un passerino addomesticato. I vecchi bròntolino a loro posta: la vita è breve, la morte è certa; dunque bisogna godere. Soltanto occorre guardarsi dagli invidiosi e dai fascinatori. La felicità sia infinita; così sarà fuori dai calcoli della gente. I baci siano quanti i grani dell’arena del deserto, quante le stelle del cielo: chi li potrà contare? e così gettare la malìa?1. Ma in mezzo a questo delirio, lo sorprende una trista notizia: il suo fratello è morto, lontano lontano, in quel sepolcro dell’Asia e dell’Europa che è la Troade. Con lui si seppelliva tutta la famiglia2. L’espressione non è sola enfasi di dolore, forse. Forse, questo fratello ed era maggiore di Gaio ed era il sostegno della casa o il rappresentante del padre, per i suoi commerci o altro, era la speranza della propagazione del sangue e del nome. Catullo volò a Verona e si abbandonò al suo dolore, tenero e acre, quasi capriccioso, come di fanciullo. Dopo qualche tempo si riscuote dal suo isolamento e se ne lamenta come di un abbandono. «Amico, sto male, male assai. E tu qual conforto mi hai dato? due versi bastavano». «O tu che mi abbandoni, dopo avermi detto tanto d’amarmi! im-

    cerone (ad Att. 1, 18) non homo sed litus atqne aer et solitudo mera. Catullo ebbe per rivale un Caelius, un Rufus (58 e 77) e Caelius Rufus fu amante di Clodia. Nella difesa poi che ne fa Cicerone, sono molte particolarità della vita, costumi, relazioni di Clodia che combinano perfettamente con ciò che Catullo dice di Lesbia.

  1. Pag. 46-49 [II], [IH], [V], [VII].
  2. Pag. 55, v. 22.