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κατὰ λεπτόν, e per poemetti d’imitazione, in un triste caso della sua vita potè trovare favore presso Asinio Pollione e Cornelio Gallo, poeti anch’essi nel tempo stesso che uomini di stato e di guerra1; che lo conoscevano e lo fecero conoscere a Maecenate. Di Ottaviano era stato, se è vera notizia, condiscepolo2. A tutti il soave poeta Mantovano mostrò la sua gratitudine, sin da questi tempi, nelle ecloghe; e nella prima di esse sin da questi tempi egli diceva del giovane Cesare: erit ille mihi semper deus3. E Orazio sperò dunque anch’esso, confortato forse dalle parole del verecondo amico. Col quale doveva parlare spesso dell’arte comune, di cui però trattavano generi diversi, come voleva la diversa natura. Avevano del resto gusti uguali: nè all’uno nè all’altro piacevano i poeti che affettavano l’antico; e a questi non piacevano, essi, come è naturale. Vergilio aveva molti detrattori. Mevio, Bavio, Anser e anche un Cornifìcio Gallo. Orazio, molti più: Valerio Catone, Orbilio Pupillo, Bibaculo stesso, tutti i Luciliani e tutti i Catulliani. I poetastri che pungevano Vergilio erano di questi tali, che anche noi conosciamo di vista e di persona, che per una parola la quale non sembri loro coniata o usata bene, buttano il libro e dicono dello scrittore, che non sa «nemmeno» la lingua. Cornificio Gallo, per esempio e Bavio e Mevio con lui, davano per spacciato Vergilio perchè aveva detto ordea al plurale: Ordea qui dixit superest ut tritica dicat4. Di tali

  1. Pag. 116 nota a III [X].
  2. Pag. 114 nota a II [VIII].
  3. Ecl. i 7.
  4. Baehrens FPR. pag. 341.