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l’amico suo Orazio amava sdraiarsi e sonnecchiare. O caro albatro, dai frutti a fragola, che noi da fanciulli chiamammo «ceragio marino». O sopra tutti albero sacro d’Italia, perchè con vermelle di esso fu fatta la barella in cui deporre e portare il primo giovanetto martire di Roma: Pallante; Pallante nella cui tomba arse la lampada inconsumabile dal tempo e inestinguibile dal vento! Quell’albero, nel verno, quando tutto muore, matura i suoi frutti e mette i stioi fiori, rossi quelli, bianchi questi; e fa con frutti e fiori e foglie il tricolore nostro... Molti, infiniti albatri e albatrelli nel Bosco di Virgilio!...
II.
Guardiamo in terra ai nostri piedi, guardiamo in aria sui nostri capi. Così vuole il poeta. Non disdegniamo le umili ginestre, le pieghevoli ginestrelle1, e ammiriamo i frassini e gli ornelli2; non ci rincresca di strisciar con le dita un rametto odoroso di rosmarino, che era l’incenso dei poveri e della contadinella Phidyle3, contemplando il denso fogliame del platano del cui rezzo si piaceva il filosofo d’Atene4. Riconosciamo la robbia5, che doveva tingere la lana degli agnelli, da sè, senza
- ↑ Le ginestre pieghevoli e basse, sono in Georg. II 12 e 434
- ↑ Il frassino in Buc. VII 65, Georg. II 66 e 359. L’orniello in Buc. VI 71, Georg. II 71, in, Aen. II 626.
- ↑ Il rosmarino o ramerino in Georg. II 213. Per la conta dinella Phidyle vedi Hor. C. III 23.
- ↑ Il platano, Georg. II 70, IV 146. Vedi Plat. Phaedr. III.
- ↑ La robbia se è una cosa col sandix, in Buc. IV 45.