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bisogno di tintori, nel tempo felice che non venne allora e non è venuto ancora; riconosciamo il sambuco1, l’ebbio dalle bacche nere a sugo rosso, le quali ora becca il pettirosso e la capinera, e col quale allora si tingeva, d’un cotal minio agreste, il viso, Pan, il capripede e cornigero Pan, per rendersi così più orribile e bello alle ninfe; riconosciamo la maggiorana2, che avvolse in un’ombra d’odore il sonno del figlio d’Enea nel bosco sacro di Venere. E queste piantine dalle foglie minute, che fanno quelle baccoline nere come prugne? Sono, appunto, baccole: vaccinia nigra3. E si colgono e piacciono. E Virgilio ne parla, per bocca del suo pastore innamorato solo, di nome Allodola. Dice:

Bianco il ligustro, ma cade; la baccola, nera; e si coglie.

O come ha confrontato un frutto a un fiore? O forse altro non ha voluto dire, se non che i fiori, bianchi e belli che siano, cadono, e i frutti, piccoli e bruni, pur si raccattano? Dice l’Allodola al capo amato: «Tu sei un bel fiore bianco candido; ma non mi ami; per me, tu cadi a terra. Bruno è l’altro amor mio, ma è un frutto che mi si fa gustare, sebben piccolo e lazzo». E cogliamo dunque le vaccinia che non sono qui, come altrove forse sono, o giaggioli o giacinti o speronelle. Ma ora ci troviamo in un fitto d’altre piante care a Virgilio; tra i coryli che i bolognesi fedelmente chiamano anche

  1. Il sambuco in Buc. X 27.
  2. La maggiorana, se è l’amaracus, in Aen. I 693.
  3. Le baccole, se sono vaccinia, ma è pur assai dubbio, in Buc. II 18. Ma altrove le vaccinia (in Buc. II 50, X 39) sono fiori. E anche quivi è dunque molto difficile siano frutti.