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utile. Ora, secondo certi, criteri, può chiamarsi morta, come la lingua d’Omero al tempo di Pericle e quella di Andronico al tempo di Orazio, così la lingua di Dante al tempo del Manzoni, del Carducci, del D’Annunzio. E si escluderà ogni poesia che non sia l’impoesia dei retori e pedanti impuristi; perchè la lingua della poesia è sempre una lingua morta. Curioso a dirsi: una lingua morta che si usa a dare maggior vita al pensiero! Dove dunque si giungerebbe, quando si cominciasse?

E si vuol cominciare. Sembra a quasi tutti di vivere in una tal quale pienezza di tempi, ora nel secolo dei raggi X; in un istante solenne dei millenni umani, in cui si debba avverare ciò che non si è veduto mai e nè pensato; e in cui i dati dell’esperienza e della storia non valgano più nulla in faccia all’eccezione della nostra età. Con quali argomenti il giovane professore difenderà la ragione della sua arte e del suo culto, per non dover confessare agli altri e a sè stesso d’essere artefice di una ciurmeria disutile e sacerdote d’un altare bugiardo? Si appagherà col dire: «Per ora va e così andrà per un pezzo; poi, sarà quel che sarà»?

II.

Rileggo questa poesia d’Oriente, tradotta alla meglio, che mi pare faccia al caso.1

  1. La poesia non è tradotta nè imitata, ma originale. Rifatta poi e ridotta a terzine, l’autore la comprese ne’ suoi Primi poemetti col titolo «L’immortalità».