Pagina:Pavese - Il mestiere di vivere.pdf/221

Da Wikisource.
1941 217

sua villa. Egli mi raccomandò di passare a prenderle. Uscimmo tra incroci di autobus. Poi pioveva a dirotto. Ero solo. Corro a cercare le mutande (era buio e non si vedeva). Al cancello, ecco che sapevo che la villa era Serralunga, coi miei. Salgo sul gradino del cancello e grido: «Sono Cesare!» e c’era Maria e anche i vicini (due ragazze vedo che sono carine). Penso che avrei dormito e M. gridò «Sono rimaste quattro mele».

5 luglio.

Delle donne degli altri non so che farmene.

11 settembre.

Letto il libercolo di Cohen di e su Chrétien de Troyes e pensato una volta di piú che il narrare non è fatto di realismo psicologico né naturalistico, ma di un disegno autonomo di eventi, creati secondo uno stile che è la realtà di chi racconta, unico personaggio insostituibile. Cfr. il comando di Erec a Enide di non parlare, e le tre infrazioni di Enide. Oppure i capricci di Guinièvre che impone a Lancelot di combattere ora per burla ora sul serio. O ancora il corruccio di Landine perché Yvain è stato lontano da lei piú di un anno, da cui consegue tutto il calvario di Yvain. O l’ignoranza di Perceval che si debba chiedere al Re Pescatore che cosa significhi la processione del Graal.

Intendo per stile questo svolgere una catena di dati che dispongono intorno a sé la realtà psicologica e naturale e la sostengono e sono puro partito preso — scatti dell’intelligenza e non altro. Qualcosa come l’antefatto arbitrario del sogno, che scatena tutta la proiezione degli eventi, colorandoli secondo una «passione», che è partito preso e irrealtà.

[Vedi la teoria del legame-simbolo (4 dicembre ’38) e quella della situazione stilistica (1° gennaio ’40, II). La religione (i Fioretti), la fiaba (Chrétien de Troyes), l’arte moderna (Stendhal, Baudelaire, Kafka) si fondono a darmi questa lezione — che una volta chiamavo confusamente immagine-racconto].