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ignoti, ti avrebbe ricondotto a scoprire come ricco di tutto quell’avvenire proprio quel momento del distacco — il momento in cui eri piú paese che mondo — a riguardare indietro. È perché il mondo l’avvenire ora l’hai dentro come passato, come esperienza, come tecnica, e il perenne e ricco mistero si ritrova essere quel tu infantile che non hai fatto in tempo a possedere.

Tutto è nell’infanzia, anche il fascino che sarà avvenire, che soltanto allora si sente come un urto meraviglioso. (Cfr. 26 giugno ’48, II).

27 febbraio.

Notte limpida, spazzata, mordente. Un tempo mi eccitava i sensi. Ora no. Devo ricordarmi e dirmi «È come allora» per sentirla. Né quella smania di dire, di impormi, m’invade piú. È dovuto alla perenne ansia, alla nevrosi del già accaduto, del cataclisma imminente? È dovuto all’età, alla gloria-sicurezza di me piú o meno raggiunta?

In realtà, l’unico spunto che mi tocca e scuote è la magia della natura, l’occhiata ficcata nella collina. Non avendo in mente questo tema, ma uno umano, un gioco cittadino e morale, ecco che la fantasia è pigra.

1° marzo.

Una risata — che mette in dubbio i tuoi motivi, che proclama il sospetto che tu hai astutamente manovrato per ottenere un dato scopo (stampare il tuo libro) senza parere. Non può darsi che la risata celi il dispetto di sentir parlare di te, miri — falsamente — a screditarti, a scoprire che sei calcolatore meschino? Cioè, ti attribuisca i moventi propri di chi ha riso?

7 marzo.

Dice lei: «Il modo come un uomo s’interessa, o no, di una donna, delle donne, mostra tutto il suo sistema di vivere». Tu