Pagina:Pavese - Poesie edite e inedite.djvu/236

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ogni filo di quella corrente, ma il chiuso compagno
non sentiva le piante né l’acqua: pensava attristato
a una pena caparbia

Dopo questi tentativi d’inizio, alcuni appunti (datati 30 agosto 1932) su quello che doveva essere il disegno della poesia.

Questo è un giovane — cosí e cosí — le cose antiche e care del paese sono diventate tristi. Gioiose e nemiche sono invece le nuove: ragazze — vita —

(Fin qui è tutto cancellato).

(Cose) Ragazze gioiose: nuove e nemiche. Le antiche cose perdute come il Giov. a Torino che vede lo sforzo e il tragiforte. Io che lo pensavo pilota, grande e che lo sento dirmi le teorie. Fratello caparbio. Sognato razza nuova da questa gente.

La stesura seguente porta già il titolo Fumatori di carta, che pare voglia mettere in primo piano il distacco pessimistico dell’A. (Lo stesso titolo era già stato dato a un abbozzo di novella di pochi mesi prima — 12 giugno 1932 — in cui era rappresentato con ironia un poeta afflitto da crisi spirituali).

L’inizio di questa stesura è completamente diverso sia dalla prima che dalle seguenti:

Le ragazze che passano scolpite dal vento
questa sera, mi sono nemiche. E i bambini che giocano
hanno strilli brutali di vita. Ci odiamo in silenzio.
Pure questo è il paese che ha schiuso tra prati e colline
i brutali miei sogni infantili di belle ragazze

Su questo avvio P. non riesce a continuare. I versi seguenti, che vorrebbero svolgere il motivo Queste cose non tornano sono cancellati appena abbozzati. P. prova allora a ricominciare presentando il personaggio. Diamo qui quattro successivi passaggi di questo inizio:

Ho rivisto il compagno di tante avventure
ch’era il figlio di povera gente e già buon falegname.
Mi passava di quasi dieci anni. A pescare nel fiume

È venuto a cercarmi stasera l’amico d’un tempo,
quello che a me ragazzo ha insegnato a conoscere il legno
dell’ontano, del noce, dell’albera e poi mi portava
a pescare e parlava di macchine e aveva vent’anni
e suonava il clarino. Mi parla un po’ ansioso
dell’immensa distanza che vede tra noi
«Vieni giú professore» mi ha detto. Ha trent’anni

Forse accadde anche al povero amico che siede con me
di trovare al ritorno il paese piú bello,
ma non piú il suo paese. È un prodigio di spalle
il mio amico, a piallare e menare la mazza,
e la testa è piegata un po’ innanzi, caparbia.

Chi scompone cosí i miei pensieri è l’amico
incallito a menare la mazza, un prodigio a suonare
la chitarra; che invidio e mi pare, ogni volta
che lo vedo, migliore. Potrebbe bene essere il padre
— non ha ancora trent’anni — delle vite gentili

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