Pagina:Pavese - Poesie edite e inedite.djvu/237

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La stesura seguente, datata 2 settembre, è già quella che sarà la definitiva per tutta la 1a lassa. Poi ci sono degli appunti a matita: Sono poveri contadini, gli ottoni, sangue caldo e miserabile perché mis.? dice lui prima d’essere qui era operaio a Torino (un tipo da pilota) in mezzo alle impressioni ora spiega la morale ai suoi contadini (chiusa) Amico che suona Legno di razza eroica.

Seguono, datate 4 e 7 e 8 settembre, le stesure, molto laboriose, della 2a lassa, fino alla forma definitiva. Nelle varianti sono trattati (cercando di smorzare ogni soverchia eloquenza) tutti i motivi giunti alla stesura definitiva, piú qualcuno eliminato: la scuola serale che l’operaio frequenta dopo il lavoro, il contrasto miseria-ricchezza in campagna (I suoi vuoti paesi | tra le grandi colline monotone dove le case | rare in mezzo alle piante, eran tane da lupi | lo infuriarono meno dei grandi giardini | fatti a viverci in ozio) o in città (tra le fabbriche e gli alti saloni murati di pietra | dove gente elegante smorfiava cogli occhi la musica | che per lui era vita).

Si giunge quindi a un altro punto molto travagliato: gli ultimi versi della 3a lassa, quelli che nella stesura definitiva cominciano: Se li fece i compagni, cioè l’adesione del protagonista al movimento politico organizzato (I compagni eran già organizzati è un primo passaggio rimasto senza seguito) e la sconfitta dell’ondata rivoluzionaria del dopoguerra (tanta disperazione da vincere il mondo era dapprincipio tanta forza e speranza da vincere il mondo. E a questo seguiva un altro verso: E attaccarono l’ultima guerra, ma furono vinti). In una stesura seguente (datata 8 settembre) comincia ad avvertirsi l’intenzione di P. di far entrare in questi versi una critica al movimento operaio prefascista, e probabilmente all’astrattezza dottrinaria che si perpetua nell’antifascismo (cosí si spiegherebbe infatti il titolo). Soffriva le lunghe parole oscilla a lungo tra Era bello parlare agli eguali; Scomparve nel numero; E non disse piú nulla. Il verso seguente era dapprima — e non fu corretto che nella stesura definitiva —: e dovette aggreggiarsi (sic) a sentirne, sperando la fine. Una delle varianti del verso precedente proverebbe che la critica di P. va al movimento operaio per non aver saputo cogliere l’occasione rivoluzionaria: E voleva combattere subito, senza quartiere, coi suoi.

La poesia doveva terminare probabilmente (minuta del 9 settembre) con i primi versi della 4a lassa (il protagonista concentrato nel suo dolore mentre suona il clarino) cui dovevano seguire questi quattro versi finali:

Ogni tanto qualcuno tra i musicanti si volta
a sbirciare la pioggia, poi suona piú forte.
Come ieri, domani il mio povero amico
tornerà a lavorare, confuso ai compagni.

P. cancella questo finale per introdurre il personaggio del fratello maggiore (9 settembre) e l’apostrofe finale, che dapprima è riferita come discorso indiretto e con un accentuato senso di vana fantasticheria che si lega allo spirito del titolo (Almeno, potercene andare | qualchecosa faremo. E con lui quella sera | distruggemmo denaro famiglia e ingiustizie | fu possibile a noi quella sera la vita perfetta) e poi diventa discorso diretto, in termini dapprima facilmente violenti ed elementari, fino a che (11 settembre) non si fissa sul concetto del rispondere no | a una vita che adopera persino l’amore per gli altri | carità, sacrificio, a tenerci piú schiavi. Le ultime correzioni (in una variante eliminata maledimmo la guerra viene corretto in maledimmo l’amore) vertono ap-
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