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Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/396

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X.

Suonavo di gusto perché adesso era giorno, e nel momento che avrei smesso la chitarra qualcosa finiva. Non sarei piú tornato indietro.

Dovevo aspettarmelo che Linda, appena soli, avrebbe detto: — Che cos’hai?

Tante bugie c’eravamo raccontate, tante cose avevamo taciuto, che anche stavolta dissi: — Niente.

Lei mi disse: — Sei pazzo — . Si sedette sul letto e si tolse il cappello. — Dammi un bacio, — mi disse.

Le diedi un bacio sulla faccia e ci prendemmo le mani. Era come badare una pianta. Lei riaprí gli occhi e mi guardò.

Ero sicuro anche stavolta che ci stava volentieri. Era sempre la stessa, con la sciarpa slacciata. Mi guardava delusa e contenta.

— Sono stanca, — mi disse. — Vado a letto.

Si mise a letto. Io mi alzai passeggiando. — Voglio fumare, disse. Senza parlare, accesi a me poi gliela diedi.

— Sai, — mi fece. — Ha il suo bello anche questo. Fosse possibile esser sempre buoni amici e quando càpita qualcosa che uno è stanco e non ha voglia di baciare, discorrere insieme e magari star zitti e aiutarsi cosí.

Io non risposi, e la guardavo.

— Che cos’hai? Vuoi uccidermi? — disse. — Sai che forse mi sposo? Non mi chiedi con chi?

Io non capivo perché invece di gridare e litigare avrei voluto essere sotto, essere in strada. Mentre lei discorreva pensavo che ieri prima di entrare al Mascherino ero stato, per qualche momento, felice.


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