Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/415

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retro e sorvegliava noialtri da un buco del muro. La sera i conti li faceva a un tavolino in quella stanza, e mi pagava a percentuale. Là dietro dormiva, in un angolo scuro, c’era odore di petrolio e di chiuso. La mattina arrivavo, mi aspettava sull’uscio; non diceva «Salute» e spariva. Avrà avuto trent’anni.

Prima cosa pulii la baracca e le chiesi un salario per Pippo, che viveva di mance. Lui lo misi sul secchio alle camere d’aria e lo mandavo in commissioni e ogni tanto gli davo la libera uscita. Lo abituai che teneva l’orario. Poi dissi alla Bionda che tanto valeva far fuori le selle — nessuno di noi le sapeva aggiustare. Capitava alle volte dalla campagna un carretto di vino, di quei carretti ricamati come fosse carnevale, col parasole a fisarmonica e una frasca sul cavallo. C’era una cinghia da cucire — quattro soldi. Ne parlai con la Bionda, ma lei non volle saperne — era stato il mestiere che facevano i suoi. Non dissi niente e rispondevo ai conducenti ch’eravamo occupati. Lei la capí e mi lasciò fare.

Chi non capiva che facessi il lavorante, era invece la vecchia Marina. — Lo sai che vivi fuori porta? — mi diceva. — Che uomo sei? Che sei venuto a fare a Roma? Chi ti conosce a questo mondo?

Poi si sfogava con Dorina e le diceva che nessuno fa strada lavorando a giornata. — Il tuo Carletto non lo aiuta, — le diceva. — Lo lasciate morire come un povero figlio. Questo ragazzo ha l’oro in mano e non lo sa.

Ma Dorina le disse che qualcosa mi era successo a Torino. La vecchia allora stette zitta qualche giorno e Dorina rideva e ammiccava vedendomi. S’intrattenevano fra loro in gran segreto e qualcosa ne seppe Carletto che ghignava anche lui. Alla fine una sera la vecchia mi prese da parte, mi portò alla finestra e mi chiese se la Pasqua l’avevo già fatta. Non capivo lí per lí e lei svelta mi mise un’immagine in mano. — Tienila in tasca, — mi diceva, — ti fa bene.

— Non ci credo, — le dissi.

— Non si può dire, è benedetta, ti fa bene.

— Ma non sono ammalato, — le dissi.

— Siamo tutti ammalati, va’. Non sei battezzato?

Il giorno dopo era felice, e alle ghignate di Carletto — Sono ragazzi, — ripeteva, — son giovanotti che la donna li tormenta.

Li lasciai dire e continuavo quel lavoro. Adesso uscirmene la sera coi miei soldi era un piacere. Veniva notte — notte calda — e


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