Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/114

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viaggio. — Del resto, — osservai, — non è detta che arrivi — . Lei avrebbe voluto un recapito. — Non c’è bisogno, — le risposi, — non cambio vita, cambio tana. Meglio nascondere le tracce.

Quando mi lasciò solo col sacco, respirai. I primi giorni li passai tranquillo, convinto che adesso potevo restare, che fare o non fare dipendeva da me. Povera Elvira, mi credeva già partito. Mi accorsi in quei giorni che pensando di andarmene avevo mirato a staccarmi da lei, a impedirle d’impegnarsi dell’altro. Sapevo bene quel che aveva in mente.

Ma una mattina trovai pieno di tedeschi. In quei giorni non c’erano né padre Felice né il rettore, erano andati a Torino — io li aspettavo per sentire se sui treni si correvano rischi. I tedeschi non dissero nulla, si stabilirono in collegio. Erano truppa e sussistenza, scaricavano roba. Ma il portiere mi venne a cercare e mi chiese che nome dichiaravo: il comando tedesco voleva la lista di tutti i dipendenti. Allora presi il mio sacco e me ne andai.

Per salire sul treno senza tornare a Torino, dovevo dar le spalle alla collina, e camminare sotto il sole strade ignote. Col cuore in gola mi diressi in pianura, sapendo che a sera avrei rivisto le colline e sarebbero state le buone. Ma comparvero molto piú presto. Io scrutavo la strada, se ci fossero posti di blocco, e vidi in fondo all’orizzonte, tra i pali e le nuvole basse, un azzurrino leggero e un po’ brullo. Non mi fermai fin che non giunsi a due passi dai colli — Villanova, la strada ferrata era lí. Mi sedetti a un muricciolo. Passavano ragazze in bicicletta, né tedeschi né militi; io morsi il mio pane e guardavo le piante, la collina selvosa, il cielo aperto — invidiai Dino che da mesi correva i sentieri. Non avevo camminato due ore.

Ebbi tempo a seccarmi della banchina, della piccola stazione, del versante dei colli. Via via che la gente aumentava, riprendevo baldanza; avevo scordato da un pezzo che il mondo formicola di facce e di voci, e parlavano tutti di fame, di fughe, di guerra, ridendo e salutandosi. Anche il treno l’avevo scordato; quando spuntò fra le gaggie e lí per lí non rallentava, mi prese come un bimbo nel suo turbine. Una volta salito, mentre la corsa riprendeva sbatacchiando tra il verde, seppi che il ponte sopra il Tanaro era stato interrotto e là bisognava discendere. Inoltre sentii che pattuglie percorrevano il treno e fermavano chi non aveva un permesso speciale.


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