Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/434

Da Wikisource.

Che troppo sangue era stato sparso e troppi giovani ascoltavano ancora la parola dell’odio. Che la patria, la famiglia, la religione erano tuttora minacciate. Il rosso, il bel colore dei martiri, era diventato l’insegna dell’Anticristo, e in suo nome si erano commessi e si commettevano tanti delitti. Bisognava pentirci anche noi, purificarci, riparare — dar sepoltura cristiana a quei due giovani ignoti, barbaramente trucidati — fatti fuori, Dio sa, senza il conforto dei sacramenti — e riparare, pregare per loro, drizzare una barriera di cuori. Disse anche una parola in latino. Farla vedere ai senza patria, ai violenti, ai senza dio. Non credessero che l’avversario fosse sconfitto. In troppi comuni d’Italia ostentava ancora la sua rossa bandiera...

A me quel discorso non dispiacque. Cosí sotto quel sole, sugli scalini della chiesa, da quanto tempo non sentivo piú la voce di un prete dir la sua. E pensare che da ragazzo quando la Virgilia ci portava a messa, credevo che la voce del prete fosse qualcosa come il tuono, come il cielo, come le stagioni — che servisse alle campagne, ai raccolti, alla salute dei vivi e dei morti. Adesso mi accorsi che i morti servivano a lui. Non bisogna invecchiare né conoscere il mondo.

Chi non apprezzò il discorso fu Nuto. Sulla piazza qualcuno dei suoi gli strizzava l’occhio, gli borbottava al volo una paroletta. E Nuto scalpitava, soffriva. Trattandosi di morti, sia pure neri, sia pure ben morti, non poteva far altro. Coi morti i preti hanno sempre ragione. Io lo sapevo, e lo sapeva anche lui.


430