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berti, il Mamiani, il Casati, il Mauri, il Maestri, il Giulini, il Broglio, il Correnti, il Durini, il Castelli, lo Sterbini, il Canino, Gio. Andrea Romeo, Pier Silvestro Leopardi, Silvio Spaventa, Francesco Perez, Francesco Ferrara, Giambattista Giorgini, Giuseppe Massari, Michelangelo Pinto, Leopoldo Spini e molti altri, che erano, in buona parte, già allora, e più divennero dopo, il fiore del patriottismo e lo splendore dell’intelletto italiano nella storia del nostro nazionale risorgimento.

Le discussioni e deliberazioni di quel congresso riuscirono, pur troppo, ciò che dovevano riuscire: una vera e propria accademia di patriottismo e di liberalismo, che ebbe pur tuttavia un effetto morale negli avvenimenti della storia del decennio dal 1849 al 1859; ma di quante sciocche calunnie, di quante sozze insinuazioni quell’innocua arcadia non fu notata da tutti gli storici di parte reazionaria e — pur troppo! — anche da qualcuno di parte moderata!

«Dicasi pure» - grida, acceso di giustissima indignazione, un onesto scrittore moderato - «dicasi pure che il progetto di costituente federativa e di ordinamento federale dell’Italia, adottato dal congresso torinese, fu opera accademica; ma ogni uomo di buona fede, per rendere omaggio al vero, dovrà confessare che in quel progetto, anzichè primeggiare concetti superlativi, opinioni balzane, campeggiavano concetti ed opinioni savie e moderate e, ciò che più vale, praticabili: perchè, mentre da un canto si faceva ragione agli onesti e giusti desiderii di libertà e di unione italica, dall’altro si serbavano incolumi la dignità e i diritti del principato costituzionale»1.

E, difendendo, quindi, il congresso federativo dalle calunnie di una vilissima stampa prezzolata, lo stesso scrittore, che era uno dei rappresentanti di Napoli a Torino nell’ottobre 1848, aggiunge: «Mi basti dire che, nel novembre del 1818, il giornale che zelantemente raccoglieva le confidenze di quel governo, e ne esprimeva condegnamente le rabbie e le paure, il Tempo di Napoli, osò affermare che l’infame assassinio di Pellegrino Rossi, prima di essere compiuto in Roma, fosse stato concer-

  1. G. Massari, nel Proemio alle Operette politiche del Gioberti, cit, pag. 154.