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capitolo primo 25

vazione con la formula più indeterminata della politica necessità il Feuerbach, il Bauer, il Carmignani; con la espiazione il Kant, Vattel ed altri; con la utilità l’Hobbes e il Bentham; ma, in sostanza, la verità è che sotto l’influenza dell’una o dell'altra di quelle due scuole il diritto penale si era venuto svolgendo e la maggior parte dei criminalisti non davano ormai al diritto di punire altra scaturigine, altro obiettivo, altra misura che l’interesse sociale. In sostanza, e per conseguenza di queste teorie, la giustizia sociale, quantunque nelle applicazioni sue fosse temperata dai modificati sentimenti e dai costumi mutati, rimetteva in vigore quelle vecchie e deplorate massime per effetto delle quali essa poteva eccedere a tutte le violenze e trovare in quel concetto fondamentale la giustificazione di ogni atto di dispotismo. Fra questi penalisti, i quali, alla conclusione, ponevano per fondamento del diritto punitivo il materialismo e finivano, volenti o nolenti, all’egoismo sociale, primeggiavano due sommi intelletti, Gian Domenico Romagnosi, positivista sì, ma con intenzioni e tendenze rimarchevolmente morali, e Geremia Bentham, risolutamente materialista nei principii, nelle intenzioni, nel metodo e nella finalità.

Contro gli eccessi di queste dottrine materialiste, derivanti dalla filosofia sensista, insorse vigorosamente nel suo Trattato di diritto penale Pellegrino Rossi e le combattè, ma, pur respingendo il principio fondamentale di Bentham, che egli stimava pernicioso, pur dando un principio etico al diritto di punire, pur dando alla giustizia sociale un’origine morale, finiva poi per associare all’applicazione di essa anche l’interesse sociale1.


  1. Chiaramente e ripetutamente lo afferma il Mignet, che scrive nel citato elogio: «Quell’arditezza e temperanza insieme, che il Rossi mostrava nelle materie politiche, le portava nella scienza, cercando in ogni cosa la verità, e, non trovandola intera in veruna parte, si rivolse ad usare fra i vari sistemi quelle savie transazioni che nelle leggi aveva raccomandate». E poco dopo, parlando proprio del Trattato di diritto penale, lo giudica «opera concepita sotto l’influenza di due scuole, prendendo dall’una il principio spiritualista del diritto puro al quale l’aveva ricondotto il suo amico duca di Broglie, e dal Bentham il principio materialista della utilità, verso cui aveva da molto tempo inclinato con l’altro amico suo Stefano Dumont...», il quale era commentatore e grande ammiratore di Geremia Bentham.
       E lo Cherbuliez, nel terzo degli articoli indicati, scrive: «Rossi ha un bell’atteggiarsi ad avversario del principio di utilità, ha un bell’essersi fatto nel mondo dotto la riputazione di esterminatore della scuola di Ben-