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titudine che legavano Pellegrino Rossi al De Broglie, al Guizot e agli altri della consorteria imperante, e contro gli intendimenti e gli interessi della quale si sarebbe rivolta l’ampiezza e l’estensione che egli avesse dato all’insegnamento del diritto costituzionale, giunto già - secondo quei valentuomini - alle colonne d’Ercole nel mare della propria perfezione con la carta costituzionale del 1830.

Tanto la prima quanto la seconda di queste condizioni speciali e restrittive furono anche notate da altri scrittori1; e il Reybaud nota, anzi, con evidente rammarico, che «la gratitudine ai dottrinari amici suoi porta il Rossi a transazioni politiche che fanno deplorare che egli non abbia adoperato in politica quella rigidità di opinioni che usava nella scienza»2.

Il De Puynode nel 1867, più di trentanni dopo avere frequentato il Corso di diritto internazionale di Pellegrino Rossi, scriveva; «Ciascuna delle sue lezioni, consacrate alla spiegazione delle nostre leggi politiche, aveva un soggetto determinato che egli esponeva nell’ordine il più logico, con parola elegante e spigliata, concisa e severa insieme. Dove si incontra uno dei suoi antichi uditori che non si compiaccia ancora al ricordo delle sue sapienti e sagaci dissertazioni sul giuri, sulla proprietà, sulla libertà individuale, sulla stampa, sulle elezioni, sulla divisione dei poteri, su quella delle Camere, sui doveri della sovranità?

Quale elevatezza raggiungeva spesso il suo pensiero! Quale fascino si sprigionava dalla sua parola, lenta, senza imbarazzo, pura e degna senza affettazione! Quali preziose vedute storiche, giuridiche, economiche si univano, in questa parte del suo corso, alle sue vigorose dimostrazioni! Io consulto ancora — nel 1867 — con estremo piacere e con raro profitto le note prese in cinque

  1. A. Pierantoni, disc. cit., che trova anche lui troppo circoscritta l’azione del Rossi nell’esporre il diritto costituzionale dalle parole della relazione Guizot, G. De Puynode, art. cit., Alph. Curtois, art. cit. e Giovanni Boglietti nella Revue Internationale del 1887, tomo XIV, in un articolo intitolato Pellegrino Rossi in Roma, nel quale afferma, forse con soverchia facilità, che egli cristallizzava la scienza politica entro formule più ingegnose che vere» e riflette che mentre i dottrinari edificavano, con la loro abile dialettica, il proprio sistema, la marea demagogica saliva intorno ad essi per inghiottirli poi nel 1848.
  2. L. Reybaud, sui legami del Rossi con la consorteria dottrinaria, nell’art. cit.