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66 MARIO RAPISARDI

Nè tacqui il giorno che l’insurrezione di Candia fece sperare un mutamento nei destini della Grecia. Scrivevo allora la «Palingenesi» e chiusi il canto delle Rivoluzioni con un inno ai ribelli e con questo voto:


E quando fia che intera
Dal freddo Ponto ad Elide
Al sol si svolga l’Itala bandiera,
Allor su la mia lingua
L’inno s’agghiacci e l’estro mio s’estingua.

Oh, se io potessi prima di morire veder la Grecia libera!

Se io potessi inneggiare alla libertà divina che, radiosa di nuova luce, apre le braccia ai nipoti di Botzari e di Zanella!

N’esulterei come il dì che vidi la patria libera dallo straniero. Chè patria di ogni anima gentile è la Grecia, e da me doppiamente amata perchè i Siciliani han sangue greco nelle vene, e comuni coi Greci le tradizioni e le glorie.

Forse non legiferò qui Caronda, non ispeculò Archimede, non cantò Stesicoro, non pensò Empedocle? Epicarmo non inventò qui la commedia? Sofrone i mimi? Non presentì Petrone la pluralità dei mondi? Non combattè Dicearco le fantasie filosofiche di Platone? E Teocrito e Mosco e i due Filemoni e Apollodoro ed Eudosso non sono nostri? E qui venne Pindaro e Simonide e Bacchilide ed Eschilo a crescere splendore alla corte di Gerone e ad onorare la Sicilia.

Tali uomini avemmo e tali glorie noi siciliani,