Pagina:Petrarca - Il mio segreto, Venezia, 1839.djvu/51

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P. — Or m'accorgo come a poco a poco mi sia allontanato dal tema proposto. Perciò sono costretto a confessare, che ogni mia sciagura mosse dapprima dal mio arbitrio. E da quanto esperimentai in me stesso, fo ragione degli altri; purchè tu ancora voglia convenir meco d’una verità.

A. — E quale?

P. — Se vero è che niuno cada se non per proprio volere, deve esser vero del pari che, tra l'infinito numero di quelli che caddero spontaneamente, ve n’ha pure taluno che suo malgrado rimane a terra senza potersene rialzare. E tra questi io mi son uno, il quale, siccome pena del mio fallire, non mi sento adesso la forza a rilevarmi, perchè non volli starmene in piedi quando poteva.

A. — Benchè non sia affatto dissennata questa tua proposizione; nondimeno, da poichè m'accordasti d'aver errato nel primo, sarà forza che altrettanto mi confessi del secondo.

P. — E che? sono forse una cosa stessa il cadere ed il rimanersene a terra?

A. — Grande diversità corre tra il non volere e il volere; ma se queste due cose differiscono tra loro in quanto al tempo, pur sono tutt'uno nell’animo di chi non vuole.

P. — Tu m’inviluppi ognor più nelle tue reti. Però io ti dico che il vincere coll’arte,